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Aylan e Galip e… La Siria non è.

Quello che segue è un articolo trovato su buzzfeed, e linkato sotto, in cui si chiariscono le difficoltà che hanno, direttamente o meno, portato all’annegamento di un gruppo di profughi siriani nelle acque turche.  La domanda che mi pongo e a cui al momento non posso rispondere, è perché gli sia stata rifiutata la possibilità di emigrare legalmente. Recentemente avevo letto su Facebook commenti di persone che affermavano che i profughi siriani sbagliano a fuggire dal paese in maniera illegale, che tutti gli stati hanno delle leggi per fare domanda di asilo oppure per accedere allo status di rifugiati. Il mio sospetto che non fosse così facile per i siriani fare le cose secondo legge viene confermato dai fatti elencati nell’articolo sottostante. Non ho inserito immagini dei bambini. Inoltre, da tempo, all’interno della Siria tutte le ambasciate sono chiuse.

“I due bambini annegati sulla riva di una località turistica turca ritratti nelle foto che hanno catturato l’attenzione di tutto il mondo mercoledì 2 settembre, sono stati identificati come Aylan e Galip Kurdi. La madre dei fratelli, Rihan, si crede sia annegata accanto ai suoi figli. Il padre, Abdullah, è sopravvissuto. La famiglia era della città curda di Kobanê.

Aylan&Galip

Parlando al National Post, Teema Kurdi, la sorella di Abdullah che vive a Vancouver, in Canada, da oltre 20 anni, ha detto che ha sentito la notizia attraverso una telefonata con la moglie di un altro fratello, Mohammad.
Aveva ricevuto una telefonata da Abdullah, e tutto quello che ha detto è stato, “Mia moglie e i due ragazzi sono morti.”.

Secondo un altro rapporto canadese locale, la famiglia Kurdi stava cercando di venire in Canada, ma  la loro domanda di visto G5 era stata respinta nel mese di giugno. Teema e le sue amiche avevano tentato di sostenerli (oppure “finanziarli” non è chiaro per me), ma il loro aiuto è stato rigettato “a causa delle complessità” dei moduli di domanda (per la richiesta di asilo, presumo) in Turchia. Si pensa che i bambini siano annegati nel tentativo di attraversare il Mediterraneo su due barche con altri rifugiati curdo siriani.

I rifugiati stavano cercando di raggiungere l’isola greca di Kos mercoledì mattina, secondo la guardia costiera turca. Viaggiavano su due barche quando una delle barche, che portava sei persone, si è capovolta, secondo un rapporto turco locale. La BBC ha riferito che, delle 23 persone a bordo delle due barche, solo nove si pensa siano sopravvissute. Diverse persone che indossavano giubbotti di salvataggio sono riuscite a nuotare fino alla riva. La famiglia al-Kurdi fuggiva da Kobanê, una città siriana inghiottita in una guerra civile che ha provocato un esodo di circa 4 milioni di persone, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati.”

[La fonte originale è un articolo di Buzzfeed che contiene purtroppo le immagini dei bambini annegati. Poiché le sensibilità sono diverse, io non le pubblicherò perché la ritengo una cosa inutile e ridondante]


2 agosto 1980

WCENTER 0XMHDBTFEJ Il lavoro dei soccorritori subito dopo la strage di Bologna del 2 agosto 1980. ANSA

Il lavoro dei soccorritori subito dopo la strage di Bologna del 2 agosto 1980. ANSA

Nel 1998 ci sono passata, nel ’90 o nel ’91 credo. Ho visto l’orologio e i nomi, la sala d’attesa. Ho pensato che mi dispiaceva, che era una di quelle giornate che avevano segnato la mia infanzia, cose avvenute in momenti della mia vita in cui ancora non sapevo chiedermi perché.

Mi sembravano così lontane nel tempo quelle persone e così presenti in ogni angolo di quella stazione, al contempo.

Mi sembrava un mondo lontano perché avevo 6 anni quando è accaduto e 16 quando ero lì, davanti alla lapide, per la prima volta. E adesso che di anni ne ho 41, mi sembra che sia accaduto ieri; che tutto sia meno in bianco e nero e un po’ più a colori fra la polvere delle macerie e dei ricordi e dolori non miei.


19 luglio 1992, domenica ore 16.58

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Il 19 luglio 1992 era domenica, il martedì successivo avrei compiuto 18 anni. Ero concentrata nella preparazione della festa di compleanno e nelle modifiche all’abito verde acqua fatto a mano. Ho sempre festeggiato tutti i miei compleanni. Quell’estate non andò per niente bene: la festa e il resto dell’estate furono un coacervo di tensioni e delusioni profonde. La mia maturità non andò bene: la notizia la portò la sera della festa l’unico compagno di classe che non avevo invitato.

Ho preso quell’Aleksandra e l’ho trasformata in qualcos’altro.

Non avevo mai collegato i miei 18 anni alla strage di via D’Amelio.

Nella mia testa l’assassinio del giudice Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta viaggia su un binario temporale a parte. La storia ciclica e devastante di queste stragi si rinnova ogni anno. Ogni anno sono davanti a quel tg che racconta dell’esplosione, senza alcun tipo di sentimento se non la certezza dell’ineluttabilità dell’avvenimento e un punto scuro di paura in fondo alla mente; nell’angolo che riservo alle paure che qualcosa possa solo andare peggio.

Il 23 maggio era avvenuta la strage di Capaci. A marzo era stato ucciso Salvo Lima, ma sembra un po’ meno in confronto all’impatto degli assassinii di Falcone, Borsellino e di coloro che erano loro accanto, e delle stragi di via dei Georgofili e di via Palestro, avvenimenti che colpirono così tanto gli animi di noi che eravamo ragazzini allora.  Ci stavamo affacciando alla vita e qualcosa ci suggeriva che ci fosse una guerra in atto. Ma la guerra era qualcosa che apparteneva all’epoca dei nostri nonni.

Stamattina mi sono ritrovata nella timeline di Facebook il link a un articolo di Giuseppe Rizzo, giornalista, social media manager, scrittore. L’articolo è datato 3 aprile 2015, si intitola La Sicilia è una guerra in due atti. Cercando notizie su Rizzo, ho trovato una pagina su Il Post in cui, riferendosi all’articolo in questione, si scrive che:

“Giuseppe Rizzo critica su Internazionale il modo in cui giornalisti e magistrati sfruttano la carica emotiva dei fatti di mafia per il proprio tornaconto, raccontando però solo un pezzo della storia”.

Beh, questo è solo il titoletto, ma qui sopra avete i link agli articoli e potete farvi una vostra idea.

Ho percepito questo piccolo articolo de Il Post come una critica all’articolo di Rizzo. Io, invece, ne sono rimasta affascinata. Rizzo racconta, più che un articolo giornalistico, il suo mi sembra storytelling: racconta delle epoche, del paese in cui è cresciuto, di persone che si sono contraddette, delle domande che possiamo porci:

“In provincia l’assolutismo è impossibile, perché ci conosciamo tutti e può capitare, come è capitato nel mio piccolo paese in provincia di Agrigento, che una mattina ci si svegli con qualcuno che si conosce o con qualche parente dietro le sbarre. Ma conseguentemente succede anche che ci si possa fare domande del genere: cosa spinge un ragazzo che è cresciuto in una famiglia per bene a chiedere il pizzo? Se arrestano tuo padre, tuo fratello o la persona che ami significa che sei complice, lo sei stato o lo sarai se non lo condanni? Cucire dei bottoni sugli accappatoi perché quelli con la cintura di stoffa in carcere non sono ammessi fa di te un mostro? Se nel tuo paese non si è mai pronunciata la parola mafia vuol dire che sono tutti codardi? I tuoi genitori hanno avuto diritto di avere paura? Per anni mi sono chiesto: posso o non posso scrivere una lettera a X, finito in carcere con l’accusa di omicidio? Ognuno affronta queste domande come sa e può, e arriva a risposte differenti.”

Poiché io appartengo a quella generazione di ragazzini “negli anni delle stragi”, certe domande me le sono poste anche io, perché in provincia, come in città (una città come Taranto) poteva capitare che all’improvviso qualcuno che conoscevi da quando eri bambina si trasformasse in un delinquente, valicasse il confine fra l’infanzia e l’età adulta, scegliendo la parte sbagliata. Non posso raccontare di altre epoche, ma ricordo bene che nel quartiere “nuovo” in cui nella seconda metà degli anni ’80 si erano trasferite centinaia di giovani famiglie con bambini, negli anni ’90, quei bambini appena cresciuti furono accerchiati dalla gente della “parte sbagliata” e coinvolti. Erano lì, ai confini del quartiere, ad aspettare come Alien affamati.

Ecco, Rizzo dice che non ci sono solo gli Alien, ma anche i Predator; lui li chiama “maestri dell’emergenza”. Dice che ne parlava anche Sciascia, decenni prima. ‘Ché quando leggi Sciascia è una folgorazione e un po’ ti dispiace sentire certe crude verità: “Intorno al 1963 si è verificato in Italia un evento insospettabile e forse ancora, se non da pochi, sospettato. Nasceva e cominciava ad ascendere il cretino di sinistra: ma mimetizzato nel discorso intelligente, nel discorso problematico e capillare. Si credeva che i cretini nascessero soltanto a destra, e perciò l’evento non ha trovato registrazione. Tra non molto, forse, saremo costretti a celebrarne l’Epifania.” (da Nero su Nero).

Magari c’è chi leggendo l’articolo si urterà di certe cose, però non mi sembra che Giuseppe Rizzo la dica sbagliata: non voglio pensare che i morti degli anni ’90 e il loro ricordo indelebile possa essere qualcosa di innocuo. Voglio pensare che certa mentalità si sia sciolta come neve al sole in molti cuori. Certo, non in tutti. Mi sembra giusto e lecito che la Sicilia viva anche il suo secondo tempo, che non lo vivano solo i turisti. Mi piace pensare che bisogna sempre vigilare in questa notte buia, ma che ogni tanto si possa uscire “a riveder le stelle”.


Siamo invasi e l’Europa se ne frega? Non è proprio così

Più che d’accordo

Cat Reporter79

prof2prof1prof3Secondo una ricerca demoscopica britannica, gli italiani si collocano ai vertici dell’ “Index of Ignorance” (Indice di Ignoranza), uno studio sulle false percezioni in merito a varie e differenti tematiche, tra le quali l’immigrazione e la presenza islamica nei vari paesi in esame.

Più nel dettaglio, l’italiano ritiene che il 30% della popolazione sia composta da immigrati (in realtà è il 7%) e che il 20% di questi siano musulmani (sono circa il 4%).

Tale approccio disfunzionale si mostra anche nell’analisi del problema sbarchi; se la maggior parte degli italiani è infatti convinta di sopportare il peso più elevato degli esodi dall’Africa, questa “misperception ” è smentita, di nuovo, dall’elemento statistico e documentale. In Europa il primo Paese per numero di rifugiati è infatti la Germania (200.000), poi Francia (238.000), Regno Unito (126.000) e Svezia (114.000). In Italia i rifugiati accolti sono 76.000, circa uno ogni 1000 abitanti.

Ancora, i…

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20 anni, Sicilia è.

Sono passati quasi vent’anni da quando, la notte fra il 24 e il 25 dicembre 1996, duecentoottantre persone perdevano la vita al largo di Portopalo di Capo Passero. Ma come, mi direte, non è stato solo ieri che ne sono morti circa novecento? Ti stai sbagliando Aleksandra.

Marina di Portopalo

Marina di Portopalo

Stamattina mi sono svegliata costruttiva, abbastanza pimpante da prepararmi presto per andare a riscuotere il tfr del mio ultimo lavoro a tempo determinato e andare in centro a sbrigare alcune commissioni; ma l’ufficio presso cui mi sono recata era chiuso e l’azienda presso cui lavoravo ha rimandato tutto a domani. 20150322_152239 Tornando a casa risalivo con la mia auto senza ammortizzatori la strada verso Cavagrande del Cassibile, luogo ameno e ricercato da turisti provenienti da ogni angolo del mondo, e ho incrociato due turisti che avevano bisogno di un passaggio. Mi sono fermata. L. e I. vengono da Ischia, sono una bella coppia, si sono conosciuti in Cina per lavoro, lui è ischitano, lei originaria di Monaco di Baviera: entrambi senza patente in questa Sicilia poco attrezzata a ricevere turisti fai da te. Li ho accompagnati fino al belvedere di Cavagrande e, pur non potendo visitare l’oasi rimasta danneggiata dal grosso incendio dell’estate 2014, li ho salutati incantati dal panorama e dalla esplosiva bellezza del paesaggio naturale. La Natura è potente qui in Sicilia, è forte sulla terra, è meravigliosa e devastante in mare. E la Sicilia, terra di confine già in epoche lontane, è una regione complessa e affascinante, a tratti talmente rurale che oggi sono rimasta senza corrente elettrica e sto scrivendo sullo smartphone seduta fuori in cortile, perché dentro casa rimango puntualmente isolata perché gli Iblei fanno da schermo ai ripetitori del segnale telefonico. Ed è questa terra di confine, martoriata dalla mentalità mafiosa e da misteriose pastoie burocratiche, che accoglie le genti che arrivano dall’altro lato del Mediterraneo. Come la Calabria e la Puglia, come la Grecia. 20150322_152216 Non mi è dato sapere da quanto tempo le imbarcazioni fotografate siano conservate presso la marina di Portopalo, ci sono dei numeri sugli scafi, 700, 200, 400 ed io presumo che rappresentino la conta dei passeggeri tratti In salvo. Non tutti dimenticano e alcuni fanno ancora i conti con queste immani tragedie raccogliendo storie e particolari, io ho trovato due testimonianze su meltingpot.org e peacereporter.net Il mare di fronte Portopalo ha accolto e conserva i resti di centinaia di persone dal 1996, Salonicco accolse le speranze di coloro che riuscirono a sopravvivere a quel terribile naufragio. Qualcuno da qualche parte in Africa o in Europa, forse ancora li aspetta e non sa cosa possa aver inghiottito i loro cari, se la disaffezione o la Storia. qui trovate un sunto della conferenza stampa fatta dal procuratore capo di Catania relativa al naufragio di questi giorni il sunto è molto preciso e sintetico, ho ascoltato la conferenza stampa personalmente nella diretta sky di queste ore.

AGGIORNAMENTO: è stata pubblicata in data 12 giugno 2015 da Siracusanews la notizia che due dei barconi presenti nelle fotografie di questo articolo sono stati ceduti al comune di Amsterdam (Olanda) per un progetto di carattere sociale ed educativo indirizzato alla sensibilizzazione degli studenti olandesi e un secondo progetto “collegato alla manifestazione internazionale di vela “Sail”, che richiama più di un milione di visitatori e genera l’attenzione dei media a livello mondiale, si propone di rendere tangibile l’esigenza di un impegno di tutti i Paesi Europei nella soluzione di un problema epocale che non può essere affrontato soltanto dal nostro Paese.”. Nell’articolo si afferma, giustamente, che la distruzione dei barconi sarebbe costata alle casse dello stato italiano circa 12 mila euro; resta il fatto che il progetto di valorizzare queste testimonianze di un presente sempre più difficile arriva da un altro paese lontano dalle problematiche che ci porta il nostro mare e comunque lodevole nell’iniziativa.


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