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Mappa e vinci con Guidabile a Siracusa

Non conoscete ancora Mappa e vinci con Guidabile? Vivete a Siracusa e vi piacerebbe partecipare a un gioco utile ed avere la possibilità di vincere dei premi interessanti? Mancano ancora dieci giorni al termine della gara. Basta iscriversi cliccando qui e iniziare a mappare i luoghi accessibili della città.

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Lo aveva promesso Valentina Amico, quando parlammo di Guidabile per Blog d’Innovazione: sarà un’app di tipo ludico esperienziale, un gioco utile, qualcosa di bello per la città di Siracusa e per tutte quelle che verranno coinvolte nel tempo. E qualcosa di bello anche per i cittadini di Siracusa, che abbiano o meno difficoltà motorie, per vivere tutti insieme senza barriere questi splendidi luoghi.

 

Ne ha fatta di strada Guidabile! Dopo aver vinto lo Startup Weekend di Catania l’anno precedente, sono una delle startup selezionate dal comune di Siracusa per il progetto Eureka 2.0 promosso dalla Fondazione Comunità Val di Noto. L’obbiettivo è sempre quello di accrescere la base dati dei luoghi accessibili attraverso la partecipazione attiva dei cittadini. Continua a leggere


Assistente in progettazione sociale: un corso, molteplici prospettive

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Avete mai sentito parlare di impresa sociale? E di progettazione e innovazione sociale? Se sì, e non siete stakeholder del settore, vi sarete sicuramente chiesti come sia possibile acquisire competenze in questi campi, forse avete un progetto nel cassetto, ma non avete abbastanza strumenti e conoscenze per affrontare il monolite dei fondi europei e Horizon 2020 vi sembra irraggiungibile. Oppure vorreste acquisire nuove competenze per risolvervi a rinnovare il vostro curriculum vitae, per dare una svolta diversa alla vostra vita lavorativa.

Dal 5 maggio al 10 giugno, presso la sede di Impact Hub Siracusa, si svolgerà la seconda edizione del corso di formazione professionale in Progettazione e Innovazione Sociale. Io ho partecipato alla prima edizione, fra gennaio e febbraio di quest’anno, ed è stato molto utile.

Uno dei futuri possibili e immediati nel mondo del lavoro è sicuramente fare impresa sociale e occuparsi di progettazione da questo punto di vista: l’Europa stessa sta già stanziando fondi in questo settore, con Horizon 2020 siamo già proiettati in una fase propositiva e di avviamento concreto di imprese low profit che mirano alla costituzione di nuove realtà che riescano a coniugare istanze economiche e sociali, appunto.

La mia esperienza di corsista è stata più che soddisfacente perché il corso è organizzato da esperti che vivono quotidianamente la realtà di imprese sociali, che fanno progettazione a livello europeo e locale, che si occupano di startup, di comunicazione, di fondi dedicati, che conoscono e praticano, insomma, i diversi aspetti che compongono il corso.

Soprattutto, durante il corso, ogni modulo di cui è composto prevede quelle che possiamo chiamare esercitazioni pratiche, ma che hanno il valore aggiunto di essere condotte all’interno di un ambiente e di un gruppo di lavoro per i quali un’esercitazione ha la reale possibilità di diventare “fare impresa sociale” applicata.

Questo può accadere perché vi saranno forniti tutti gli strumenti utili: dal business model canvas al quadro logico, passando per lo storytelling e le tecniche per fare un buon pitch, dalla guida ai fondi europei alle indicazioni fondamentali per districarsi in ambito economico. Senza dimenticare un’analisi approfondita di concetti quali l’innovazione di prodotto, di processo e di servizio oppure quella delle politiche sociali ed economiche.

Inoltre, un valore aggiunto da non dimenticare, è il mutuo scambio di competenze e informazioni che arriva dai partecipanti stessi a corsi di questo tipo. Siamo stati una bella classe, con personalità e un bagaglio di esperienze lavorative importanti e interessanti e credo che questa seconda edizione, sarà altrettanto densa di incontri, conoscenze e opportunità.

C’è molto da raccontare, ma non è possibile riassumere un corso di questo livello in un blog post. Il mio invito è a informarsi e passare a visitare gli ambienti accoglienti e stimolanti di Impact Hub presso i quali si svolgerà il corso. Chissà che non ci incontriamo 😉

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Coding 4 Avola

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È così è successo, il 20 aprile 2016 sono entrata nella classe I C della scuola media inferiore Elio Vittorini di Avola, accolta dal professor Francesco Munafò (matematica!) e abbiamo fatto coding analogico con il gioco Cody Roby.

Se per noi adulti, soprattutto quelli di noi avvezzi alla cultura digitale e all’informatica, può sembrare cosa insignificante, questa piccola esperienza condita di video sul pensiero computazionale, su Cody Roby, Scratch e Minecraft, ha entusiasmato tutta la classe ed è stato bellissimo vederli giocare e ragionare.

Una classe speciale, innanzitutto perché Francesco Munafò li fa giocare spesso a scacchi e dama (e infatti hanno spontaneamente confrontato questa loro esperienza con quella del coding che gli abbiamo presentato ieri), e poi, perché come tutte le classi, la loro individualità, le loro peculiarità, sono state le vere protagoniste dell’ora e mezza trascorsa insieme.

Devo ringraziarli questi ragazzi, perché portargli questo progetto sta aiutando me a comprendere molto e a imparare. Ho presentato e porterò la prossima settimana, Coding 4 Avola anche nella scuola primaria Caia, nelle classi 4 e 5 delle sezioni B e C e ho scoperto molte cose interessanti, almeno per me.

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I millennials conoscono e usano già Minecraft, fanno coding senza sapere davvero lo strumento che hanno tra le mani, ma quando gli raccontiamo che è un po’ come se facessero i programmatori informatici, gli occhi si illuminano. Questa esperienza è trasversale fra i generi, anche se ancora adesso, sono molti di più i maschi a dedicarsi a questi giochi e a questi interessi.

Voglio sottolineare che non è mia intenzione ridurre il coding e la diffusione consapevole del pensiero computazionale alla mera programmazione informatica: quando ho raccontato Coding 4 Avola agli animatori digitali e ai loro colleghi, ho sostenuto un concetto più complesso (passatemi la vanità).

In quest’ultimo anno, mi sono resa conto che il mondo del lavoro è sempre più esigente, richiede un mix di competenze e di culture che contemporaneamente settoriale, altamente professionale, ma anche trasversale: detto in parole povere, non si può più essere solo medici, solo architetti, solo programmatori, solo baristi, ma occorre conoscere i mondi accanto al nostro settore specifico di lavoro e sapersi affiancare a coloro che praticano la cultura digitale a tutto tondo.

Internet, il web e i social media, sono strumenti, la programmazione è uno strumento, dobbiamo conoscerli, il mondo al di fuori della scuola si sta evolvendo a rotta di collo e i giovanissimi hanno bisogno di essere preparati. Di contro, gli insegnanti e gli scolari sono già tanto bersagliati e carichi di lavoro. È vero che il mondo della scuola spesso fa fatica a stare al passo, ma è anche vero che l’impegno richiesto è già gravoso, mentre ogni istituto ha le sue problematiche da affrontare, fra queste: le difficoltà di alcuni studenti, la povertà di mezzi di alcune famiglie, i problemi specifici di alcune zone d’Italia.

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Una parte di questa storia l’ho già raccontata sulle pagine di questo blog: durante l’estate del 2015 ho iniziato a leggere articoli sul coding nelle scuole, poi ho incontrato Viviana Cannizzo di Impact Hub Siracusa e grazie a lei ho conosciuto il progetto di coding per le scuole e ho partecipato da spettatrice ad un evento di programmazione green con Arduino.

In quei mesi si parlava molto di digital champion e di quello che ognuno di noi, appassionati di cultura digitale in toto, avremmo potuto fare per diffondere buone pratiche fra i giovanissimi. Mi sono chiesta se nel cittadina in cui vivo si fossero già avviati progetti di coding e ho iniziato a parlarne e a chiedere in giro, finché non sono arrivata a presentare il mio piccolissimo progetto per le scuole di Avola all’assessore all’istruzione e allo sportello pedagogico.

Infine, ho conosciuto tre degli animatori digitali designati, perché nel frattempo era stato varato il Piano Nazionale Scuola Digitale dal MIUR e l’operazione digital champion si è in qualche modo conclusa (anche se le istanze lanciate da Riccardo Luna non si sono fermate). Clementina Amato, Francesco Munafò e Vincenzo Rossitto sono degli insegnanti splendidi, prima di tutto; grazie a loro ho conosciuto altri docenti delle scuole medie inferiori e delle scuole primarie che hanno accolto me e il mio piccolo progetto come se fosse un grande tesoro, ne parlerò la prossima settimana.

Cosa accadrà nei prossimi mesi dipende da molti fattori, nel frattempo, spero di migliorare il progetto e di coinvolgere in modo sempre più efficace i ragazzi e gli insegnanti.

Grazie! 🙂

Vi lascio con un articolo apparso su TechEconomy a marzo di quest’anno: lo considero una riflessione dura, ma utile.


Il problema della confettura di fragole ibride

Ho letto delle cose oggi. Cioè, leggo cose ogni giorno, più volte al giorno, per chi non lo sapesse. Ma oggi ho letto delle considerazioni sulla cultura digitale che mi hanno fatto riflettere per l’ennesima volta sulla mia storia personale e su quanto la narrazione del mio divenire digitale si sia intrecciata con la narrazione delle storie e delle esperienze di alcuni digital champion e non solo.

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Come è fisiologico che sia, l’associazione che ha fatto capo all’iniziativa di promuovere la cultura digitale nel paese Italia è stata fonte di discussioni e riflessioni contrarie al pensiero di Riccardo Luna e contrarie al messaggio portato avanti in questo ultimo anno e, se non al messaggio, ai modi in cui è stato veicolato o non è stato veicolato. Insomma, non mi dilungo oltre, la casistica è immensa e varia, fatta di Sì e anche di Però che assurgono a categorie discriminanti e prolisse. Sul web, se vi fate un giro cercando “digital champion” e le sue varianti linguistiche, trovate una serie di post pro, contro e ni per farvi una vostra idea.

Io una mia idea la ho e, contrariamente a quanto faccio di solito, mi esporrò senza timori (tanto i miei quattro lettori e mezzo non me ne vorranno).

Non sono una nativa digitale per ovvi motivi anagrafici, inoltre sulle mie spalle peserà per sempre la responsabilità di aver negato a mio padre la gioia di regalarmi il mio primo personal computer, però dal 1999 in poi mi sono più che ripresa il tempo perduto, tanto che in alcuni periodi di questi ultimi decenni mi sono dedicata addirittura a creare indecentissimi siti internet e ho frequentato, se non l’alba, le dieci di mattina del web prima dell’avvento dei social media grazie ai gruppi usenet.

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Polaris: qualità della vita, resilienza ai disastri e il futuro degli open data

Quale potrebbe essere un argomento di massimo interesse collettivo nell’ambito dell’innovazione e delle problematiche legate all’ambiente e al territorio in Italia?

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Quando mi sono posta questa domanda, ho deciso di prendere spunto dalle cronache di questi primi giorni d’autunno e ho scoperto l’esistenza di una piattaforma web, “POLARIS, Popolazione a rischio da frana e da inondazione in Italia”, che ha l’obbiettivo di coinvolgere cittadini, imprese, enti governativi e di ricerca scientifica in quelle che vengono chiamate best practice, buone pratiche, per l’ambiente e la qualità della vita.

Un universo di pratiche che coinvolgono concetti come la Circular Economy, la resilienza, gli open data, la partecipazione dal basso, la qualità della vita, l’engagement di utenti e gli obbiettivi dei finanziamenti stanziati dall’Unione Europea.

Posso affermare che la scoperta sia in qualche modo avvenuta grazie alla partecipazione allo speed networking presso Impact Hub a Siracusa (ve ne ho parlato recentemente). Hubber come me, ma soprattuto Manager di Progetti di Ricerca ed Innovazione e Coach, Umberto Pernice, di Palermo, impegnato in progetti collaborativi nell’ambito della resilienza ai disastri naturali, ci racconterà delle iniziative legate ad attività di ricerca e innovazione e del suo ruolo nella consulenza per la realizzazione di questa e di altre iniziative.

Domanda: Cos’è POLARIS? Risponde in qualche modo a necessità espresse dal basso?
POLARIS è un sito web progettato e gestito dall’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e contribuisce a rispondere alle domande e alle richieste di informazioni da parte di media, amministratori nazionali, regionali e locali, e anche singoli cittadini, sui rischi idrogeologici. Il sito fornisce informazioni puntuali sulle caratteristiche, la frequenza e la severità degli eventi relativi a frane ed alluvioni, incluso il numero di morti, dispersi, feriti, sfollati e senzatetto causati da tali eventi. Sono numeri indispensabili per definire i livelli di rischio idrogeologico, identificare le aree dove il rischio è alto e valutare l’impatto sociale ed economico di tali eventi. In aggiunta il sito fornisce informazioni utili per migliorare la resilienza dei cittadini a tali disastri con suggerimenti su cosa fare (e non fare) prima, durante e dopo tali eventi. I post vengono promossi anche sui principali social network (@CNR_IRPI su Twitter) generando una significativa partecipazione e condivisione fra concittadini e istituzioni.

D: Quali sono i tempi di realizzazione di iniziative di questo tipo?
L’iniziativa ha richiesto la pianificazione ed il coordinamento di un lavoro durato oltre un anno tra i ricercatori dell’IRPI-CNR, informatici e web designer, per la realizzazione del sito. E la stessa prosegue con la progettazione di altre sezioni del sito, considerando le statistiche di traffico di utenza. C’è l’interesse a comprendere meglio la percezione che media e cittadini hanno dell’informazione in esso contenuta per capire se e come la stessa possa essere alimentata anche dal basso, come le iniziative aperte ad accogliere dati ed informazione di tipo “
crowd”.

D: Esiste qualcosa di simile a POLARIS in ambito prettamente europeo?
Non esistono ancora iniziative di rilevanza europea che informino cittadini europei in maniera così dettagliata sugli eventi legati ai rischi naturali ed al relativo impatto sulla popolazione, sebbene l’attenzione verso queste tematiche da parte dei cittadini si dimostri crescente, anche attraverso l’uso dei social network. La Commissione Europea finanzia progetti di ricerca ed innovazione sulle tematiche della resilienza ai disastri i cui risultati vengono divulgati anche ai cittadini, nell’ambito dei programmi COPERNICUS e del Programma Quadro della Ricerca e Sviluppo Tecnologico Europeo. Uno di questi progetti, LAMPRE (www.lampre-project.eu), tratta di metodi, prodotti e servizi innovativi basati sull’utilizzo di tecnologie satellitari, per migliorare, attraverso mappe, software, linee guida e standard, le capacità degli enti pubblici nelle attività di prevenzione dal rischio da frane.

4) Chi è Umberto Pernice e qual è il tuo ruolo in questo tipo di iniziative?
Sono un consulente indipendente, impegnato a facilitare i processi di generazione collettiva di idee e soluzioni innovative, generate attraverso progetti europei di ricerca ed innovazione. Di tali processi seguo tutti gli aspetti gestionali: dalla pianificazione ed organizzazione delle attività di ricerca ed innovazione alla guida nell’implementazione e controllo del raggiungimento dei risultati, svolgendo un ruolo di catalizzatore e mediatore tra soggetti diversi. Si tratta di facilitare le interazioni tra il mondo della ricerca (mi riferisco a biologi, fisici, geologi, ingegneri, architetti, socio-economisti, ecc.), delle imprese di ogni entità, delle autorità governative e non, anch’esse a tutti i livelli, dei cittadini e della società civile tutta. I progetti di ricerca ed innovazione collaborativa interessano vari ambiti di ricerca, adottano approcci interdisciplinari ed hanno come denominatore comune l’attenzione verso la protezione e valorizzazione dell’ambiente e l’incremento della resilienza dei cittadini ai disastri naturali ed umani. In quest’ampio ambito di azione, il mio ruolo è quello di organizzare incontri per co-creare idee e soluzioni innovative, analizzando le aspettative della Commissione Europea di altre Autorità di Gestione definite nel testo dei bandi di finanziamento dell’Unione Europea, alla luce delle politiche europee e dei risultati dei progetti europei pregressi. Identifico soggetti impegnati in Europa e nel mondo su queste tematiche e ne favorisco l’aggregazione in consorzi per lo sviluppo di proposte. Aiuto nell’interpretazione dei tecnicismi e nell’adempimento delle attività ancora ampiamente burocratiche che caratterizzano i testi dei bandi europei e le attività necessarie al loro adeguato utilizzo.

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D: Innovazione, ambiente e qualità della vita: perché?
Perché sono concetti fortemente interdipendenti. Nel 2015 facciamo ancora fatica ad accorgerci del grande divario nella qualità della vita degli abitanti del pianeta e della sperequazione nell’uso delle risorse e dell’impatto disastroso sull’ambiente. Il concetto di innovazione nella società odierna, fortemente interconnessa tramite internet, continua ad evolversi adottando i paradigmi dell’innovazione aperta, collaborativa e sociale: oggi si può investire sul contributo che ognuno di noi cittadini può dare nell’identificazione dei bisogni di innovazione per una società più rispettosa dell’ambiente e della qualità della vita.

D: Salvaguardia dell’ambiente e della qualità della vita quanto incidono a livello economico?
È un argomento ampio e dibattuto. Posso dire che da una parte c’è la Commissione UE che finanzia l’Area Europea della Ricerca affinché l’Europa possa meglio competere con gli Stati Uniti, la Corea, Cina, India ed altri paesi emergenti in logica di crescita sostenibile, mentre dall’altra esistono approcci socio-economici (come quello di Serge Latouche) che propongono concetti di “decrescita felice” in risposta ad uno sviluppo vantato come sostenibile e che tale invece non può essere, vista la limitatezza delle risorse naturali e la sperequazione che i modelli economici attuali generano nelle società.

D: Fra crescita e decrescita, pensare di spalmare il più possibile fra la popolazione mondiale quello che già abbiamo a nostra disposizione avrebbe senso? È previsto?
Credo che in questo caso possiamo introdurre il concetto di economia circolare che può collocarsi fra i due termini, cioè fra crescita sostenibile e decrescita. Con la Circular Economy possiamo riutilizzare intelligentemente tutte le risorse, cioè materie prime, semilavorati, prodotti, scarti, tecnologie e anche conoscenze. Tutto questo integrando il concetto di eco-innovazione, caro ai programmi UE e alla Ricerca, che focalizza l’attenzione sul minimizzare l’impatto che processi, prodotti e servizi arrecano all’ambiente.

D: Facciamo un passo indietro. Hai 15 anni di attività alle spalle, hai iniziato anni prima che si iniziasse a parlare diffusamente di innovazione, come hai costruito queste competenze?
È una sorta di puzzle di competenze fortemente voluto. Mi sono laureato in Economia e Commercio nel 1996 con una tesi che parlava di marketing applicato all’Arte, ai Beni Culturali. Ho proseguito con un Master in Gestione di Impresa per operare come analista all’estero: dal Sudafrica (trattando di statistica multivariata) all’Irlanda e Regno Unito (nell’ambito delle tecnologie informatiche) con imprese multinazionali. Sono quindi rientrato in Italia per tuffarmi nella consulenza sugli aspetti funzionali delle tecnologie all’interno dei laboratori di ricerca e sviluppo di imprese di tutte le dimensioni e di vari dipartimenti di università e di enti di ricerca, sviluppando conoscenze in ambiti multi-disciplinari per sviluppare progetti di ricerca e sviluppo tecnologico e progetti di cooperazione transnazionale.

D: Esistono altre realtà in Italia come la tua? 
La mia attività integra vari approcci ed io non mi identifico nell’etichetta del progettista europeo, di colui che studia gli strumenti di finanziamento e coltiva relazioni con i vari enti per ottimizzarne l’uso. Io coltivo la “gestione dell’innovazione collaborativa” (
collaborative innovation management). Devo essere attento a comprendere il contributo che la partecipazione di soggetti diversi dà alla creazione e all’implementazione dei progetti e, al contempo, devo far sì che il management non smorzi i contesti creativi.

D: Ti è capitato di incontrare i fruitori finali di questi progetti, noi cittadini europei?
Sì, spesso nei momenti iniziali di divulgazione, durante le conferenze. Come nel caso dei progetti LAMPRE e del progetto CATCH che ha prodotto una piattaforma tecnologica che veicolava le persone verso scelte di mobilità consapevole quali tram, metro e bici e che spingeva verso la consapevolezza dell’impatto delle emissioni di CO2 sull’ambiente e sulla nostra vita e verso i benefici collaterali come la riduzione delle malattie cardio-vascolari e l’incremento del valore delle aree urbane meno congestionate. Negli ultimi anni i progetti di cui mi occupo coinvolgono i cittadini nella fase di concepimento dell’idea attraverso workshop che utilizzano tecniche di lavoro partecipative e il service design per stimolare l’utilizzo di dati aperti.

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iaiaGi: il motore elettrico open source. Blog d’Innovazione c’è

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Vi ho già raccontato che, oltre a scrivere qui per Apirolio (e per chi altri avesse bisogno dei miei servigi come blogger), dai primi di maggio di quest’anno scrivo per il blog d’Innovazione? Blog d’Innovazione è il luogo virtuale che mi ha accolto quando ho preso coraggio e ho deciso di rispondere a una call to action per diventarne contributor. Innovazione è uno dei canali di bloglive.it che è indissolubilmente legato alla rivista online quindicinale Il Giornale Digitale grazie alla persona di Alessandro Zarcone.

Era fine aprile quando Cristiano Carriero, content manager, una fra le due persone che considero miei mentori in questo percorso, ha pubblicato la call to action per nuovi contributor. Ad accogliermi in redazione, ho trovato il mio secondo mentore nonché il migliore coach del mondo per una blogger alle prime armi: Massimiliano Fabrizi, fotografo pubblicitario e social media manager. Insieme a una bella squadra, ho iniziato a masticare di SEO e a “fare palestra” di scrittura ed editing. E ho scritto, tanto tanto, imparando anche moltissimo, su tutto ciò che è innovazione e nuove tecnologie e ho ancora tanto da scrivere.

Con questo post, quindi, voglio iniziare un percorso di rivisitazione di alcuni degli articoli pubblicati per Innovazione che toccano tematiche uniche e sempre valide, raccontano storie e ci introducono in un universo complesso e multiforme, colmo di belle opportunità per tutti coloro che vorranno attingervi.
Il primo articolo è un’intervista, la mia prima intervista, ai due ingegneri maker che stanno progettando un motore elettrico a tecnologia open source: vi presento iaiaGi.

“E’ di questi giorni di primavera piena la prima call for makers tutta italiana per un nuovo progetto open source che fa dell’innovazione tecnologica e culturale le sue caratteristiche fondanti, i suoi protagonisti sono due entusiasti e competenti ingegneri italiani che ho intervistato per voi in anteprima per presentarvi l’idea ambiziosa che sta già ricevendo i primi concreti riscontri in termini di partecipazione e concretizzazione. A seguire l’intervista a Valerio Vannucci e Alberto Trentadue di iaiaGi.com (sito in inglese e italiano per collaboratori maker e curiosi) e iaiaGi youtube channel per chi vuole ascoltarli in prima persona durante la call for makers di Modena del 9 maggio e acquisire informazioni tecniche più dettagliate sul progetto.

Domanda: Descrivetemi iaiaGi in dieci parole e se vi definireste una start up e perché.
Valerio Vannucci: Possiamo iniziare dall’acronimo del progetto IaiaGi cioè Integrated Automotive Idea for Advanced Galileo ferraris finding Implementation che vuol dire “idea di mobilità integrata per la realizzazione della scoperta di Galileo Ferraris”. Galileo Ferraris fu lo scopritore del Campo Magnetico Rotante che è il principio di elettrodinamica che è alla base del funzionamento dei motori in corrente alternata, colui grazie al quale siamo qui a parlare di questo progetto. Noi e i collaboratori che si aggregheranno mano a mano, stiamo progettando e realizzando un Kit Open Source per la trasformazione di veicoli a combustione interna in veicoli elettrici.
Alberto Trentadue: Abbiamo una persona a cui ci ispiriamo che è Seth Leitman che ha un suo blog accessibile a tutti ed è autore della guida “Build your own electric vehicle” e proprio per la caratterizzazione open source non vogliamo definirci una start up, ma una piattaforma di sviluppo; l’innovazione per noi è proprio nell’idea open source e nella forte connotazione ecosostenibile che vorrebbe arrivare all’obbiettivo dell’impatto zero sull’ambiente.
Valerio: Non vogliamo essere una start up perché vogliamo introdurre innovazione scientifica e culturale, sai ci sono molti pregiudizi qui in Italia sul funzionamento del motore elettrico e delle batterie e noi stiamo creando questo kit che sarà libero sia nella progettazione hardware (quindi nelle parti materiali del motore) sia nella progettazione software e trattandosi di uno strumento del genere sarà ciò che darà il via alla creazione di nuove start up soprattutto in Italia. Questo è un punto che è molto importante per noi: essere un progetto che condivide know how nazionale e internazionale a cui tutti potranno attingere liberamente, come ci insegna il modello di Arduino.

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Quindi a questo punto posso chiedervi cos’è la call for makers e come è andato l’incontro presso il FabLab di Modena che avete avuto ai primi di maggio?
Alberto: La call for makers è la chiamata a raccolta di persone con differenti esperienze che cercano innovazione, nuovi saperi e vogliono condividere le loro conoscenze incrementando la fattibilità del kit open source.
Valerio: E devi sapere che hanno risposto già in tanti alla call for makers che abbiamo organizzato e già molti ci seguivano attraverso il sito internet, ci sono studenti e persone con esperienze specifiche in vari ambiti.
Alberto: Vorrei aggiungere che il FabLab è un modello virtuoso di condivisione di competenze e di esperienze nato al MIT, il Massacchusets Institute of Technology di Boston.

Potreste parlarmi del vostro percorso professionale e delle vostre competenze e quali di queste vi hanno portato ad ideare iaiaGi?
Valerio: Io sono un ingegnere aerospaziale, Alberto un ingegnere elettronico. Entrambi lavoriamo nel settore delle telecomunicazioni ed eravamo colleghi quattro anni fa quando abbiamo iniziato a confrontarci su questo progetto. Io vivo a Carpi e Alberto a Modena.
Alberto: Bisogna anche dire che amiamo definirci tutti e due “maker” e che io sono unappassionato di IoT, che è l’internet delle cose e di Radiofrequenza, mentre Valerio è appassionato di prototipazione e tecnologie per l’ecosostenibilità. Non abbiamo una formazione specifica in ambito meccanico, ma vogliamo riappropriarci del know how, il saper fare, insieme a chi vorrà accompagnarci in questa avventura.
Valerio: Quindi non c’è stata una competenza specifica che ci ha portato a ideare tutto questo, piuttosto è stata la mia esperienza personale: tutto è iniziato quando ho potuto provare un’auto elettrica nel percorso cittadino, cioè per andare a fare la spesa. E’ stata una delle esperienze più belle che abbia mai fatto, qualcosa che mi ha smosso dentro e ha iniziato a farmi riflettere sulle immense possibilità di vita e lavorative che può dare un veicolo elettrico e che ancora, qui in Italia sono sottovalutate. Mentre in altri paesi come gli Stati Uniti, l’Olanda e la Germania, ma soprattutto gli Stati Uniti, sono molto più avanti di noi nel concretizzare prodotti accessibili.

A che punto siete della realizzazione del progetto?
Alberto: Abbiamo preparato le strutture teoriche per il dimensionamento meccanico del motore elettrico, quindi siamo pronti per costruire il prototipo.

Quali le metodiche per rintracciare fondi e collaboratori?
Alberto: Non stiamo cercando fondi, ma se dovesse essere necessario ricorreremo all’autofinanziamento oppure al crowdfunding esclusivamente per realizzare il prototipo dimostrativo perché non vogliamo mettere le briglie a iaiaGi, vogliamo raccogliere collaborazioni e nessuno che metta il cappello sopra il progetto.

Avete fatto uno studio per individuare le zone nevralgiche nazionali e internazionali che potrebbero accogliere e sviluppare il progetto?
Valerio: Come dicevamo prima, siamo aperti a collaborazioni che possono arrivare da qualsiasi parte del mondo, al momento coloro che ci hanno risposto qui in Italia provengono esclusivamente da regioni del settentrione, in primis l’Emilia Romagna che ospita già un’azienda, l’unica in Italia ad aver realizzato e brevettato kit di conversione in elettrico.

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Come state affrontando le questioni quali eventuali brevetti, autorizzazioni e legislazione locale?
Alberto: Sappiamo che in Italia ci sarebbero problemi di omologazione, ma noi vogliamo comunque liberare questa tecnologia dai brevetti e renderla libera e accessibile a tutti in modo tale che possa arrivare presto all’utente finale; in modo specifico abbiamo preso in considerazione anche le problematiche collaterali alla trasformazione di un veicolo a motore tradizionale in elettrico, comprese le difficoltà di approvvigionamento e stoccaggio di energia, che verranno inglobate nello studio open source.
Valerio: Questo perché ovviamente cerchiamo attivamente proposte e soluzioni in tutti gli ambiti collegati all’idea motore elettrico, compresi gli spostamenti sul territorio.
Alberto: Quindi possiamo dire che la problematiche da risolvere al momento sono uno, l’omologazione, due, l’individuazione del luogo dove effettuare le prime conversioni, tre, l’impegno nei confronti della rete di distribuzione. Aggiungiamo che a livello istituzionale e di informazione diffusa, molti non hanno le conoscenze corrette sulla durata di un motore elettrico, sulle modalità d ricarica e sulle reali percentuali di durata, smaltimento e riciclo delle batterie.
Valerio: Per esempio, pochi hanno idea delle reali esigenze di un veicolo elettrico di tipo utilitario che viene usato principalmente nel traffico cittadino. Già se parliamo di un’autovettura Tesla, che è comunque un’autovettura di lusso con caratteristiche di eccellenza, possiamo affermare che ha dimostrato che in futuro un’autonomia di ben cinquecento chilometri non è un obbiettivo irraggiungibile e che non servirà un’intera carica delle batterie per fare i normali tragitti settimanali in città. Per quanto riguarda le vetture elettriche “normali”, al momento, l’autonomia è stimata fra i centocinquanta e i duecento chilometri.

C’è qualcosa che siete disposti ad abbandonare e a cosa non rinuncereste mai?
Alberto: Non rinunceremo mai all’open source… Valerio: E all’approccio maker. Perché questo progetto appartiene alla collettività.

Potrà sembrare uno scherzo, ma l’ultima domanda, prima di salutarci, è: c’è qualcosa che mi sono dimenticata di chiedervi e che avreste voluto dire?
Valerio: Aggiungerei che iaiaGi vuole avviare un cambiamento culturale oltre che tecnologico a partire dalla scelte che possiamo compiere dal basso e non imposto dall’alto.
Alberto: E io invece aggiungo che dobbiamo molto al sostegno e all’entusiasmo delle nostre mogli: senza di loro non saremmo arrivati a questi risultati, perché mettere insieme le forze è sempre un punto fondamentale nella realizzazione di un progetto, anche di innovazione tecnologica.”


Opportunità Vs porte chiuse: Impact Hub Siracusa è

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Nel giro di poco tempo ho avuto nuovamente la fortuna di partecipare a una riunione di speed networking presso l’Impact Hub di Siracusa. Vi ho già detto che è un posto magnifico? Ultimamente è uno dei luoghi materiali e dell’anima che riecheggiano dentro di me la parola e il concetto di Opportunità.
Opportunità sta diventando la mia parola d’ordine insieme a Condivisione, Innovazione, Empowerment, Digitale, Socialità, Contenuti, Impatto Sostenibile e Networking. Tutti questi splendidi concetti viaggiano insieme a Coraggio (eh sì, ce lo dobbiamo sempre far venire) e Opportunità ne è la chiave di volta: quel momento in cui decidiamo di andare incontro alla vita e di trasformare un fallimento o un insuccesso rovesciando il punto di vista.

Ovvero quando si chiude una porta, se ne apre sempre un’altra.

Avete presente quando sta per succedere qualcosa di bello e l’emozione per l’attesa cresce e siete coinvolti insieme ad altre persone? Ecco, questa era (ed è) l’occasione che si era presentata qualche giorno fa con la possibilità di partecipare a un corso gratuito presso l’Impact Hub di Siracusa. Io stessa sono diventata un’hubber ai primi del mese di settembre e credo che sarò emozionata per sempre per questa avventura della mia vita, professionale e sociale.

Il corso:
“ESPERTO IN PROGETTAZIONE E INNOVAZIONE SOCIALE”
La presentazione ricevuta in e-mail recitava così: Obiettivo del corso è formare una figura professionale polivalente e flessibile, in grado di adattarsi a diversi contesti lavorativi e di operare in situazioni di supporto tecnico alle molteplici e crescenti attività di progettazione esecutiva, gestione e facilitazione di eventi e gruppi di lavoro, comunicazione istituzionale e web. La sua professionalità può trovare occupazione sia nel settore pubblico sia nel settore privato principalmente come: progettista, assistente alla progettazione e alla rendicontazione, responsabile raccolta fondi e campagne crowdfunding, responsabile comunicazione.

Dovevamo iniziare il 30 settembre
Il numero degli iscritti è salito nel giro di pochi giorni, eravamo addirittura in sovrannumero e avevamo anche un gruppo Facebook in cui potevamo comunicare fra di noi e organizzarci per le pause pranzo e per viaggiare fra Siracusa e le nostre abitazioni. Qualcuno di noi sarebbe arrivato da Palermo.
Poi, a una manciata di giorni dall’inizio è arrivata la doccia fredda: il corso è sospeso. Ma la doccia fredda è stata amorevolmente mitigata da un’e-mail in cui ci è stato spiegato con grande chiarezza il motivo della sospensione, ne cito uno stralcio, anzi la cito per intero, perché è esattamente uno dei modi buoni che si possono (e si devono utilizzare) per ovviare a una situazione di crisi, piccola o grande che sia:

“Cari Corsisti, Cari docenti tutti.

è con grande rammarico che vi comunichiamo la Sospensione del Corso per “Esperto Progettazione e Innovazione Sociale”.

Purtroppo, come potrete voi stessi verificare dalla mail che segue in coda alla firma, solo stamattina siamo stati avvertiti dall’Ente di formazione e dall’Agenzia per il Lavoro di riferimento della problematica che ci costringe a sospendere il corso, non per decisione nostra. A seguito di una loro verifica interna sulla disponibilità dei fondi residui per finanziare il corso, e quindi consentire a Impact Hub Siracusa di erogarlo gratuitamente a tutti i partecipanti, al momento non è possibile procedere con la registrazione e la prenotazione delle somme necessarie da parte loro.

Noi di Hub Siracusa ci siamo confrontati con una dura decisione da prendere: Sospendere il corso, oppure Richiedere un contributo ai partecipanti?
Dopo una riflessione interna abbiamo optato per sospendere il corso, guidati dalla nostra etica professionale e dalla nostra mission di innovazione sociale e di divulgazione accessibile a tutti.Attenzione però: nonostante questa brusca frenata, ci teniamo comunque a conoscervi di persona, grati dell’entusiasmo con cui avete aderito alla nostra proposta. Vi invitiamo per tanto a farci compagnia Mercoledì 30 Settembre, dalle ore 12:00 alle ore 16:00, per un aperitivo di networking che abbiamo il piacere di condividere con voi.

Nei prossimi minuti provvederemo a contattarvi telefonicamente uno per uno, così come abbiamo fatto per la conferma delle iscrizioni.
Vi preghiamo per tanto di evitare di contattarci telefonicamente per informazioni: saremo noi a chiamarvi.

Fiduciosi di ritrovarvi tutti Mercoledì all’aperitivo, e nella speranza che la situazione venga presto risolta.”

Ecco, quando poco fa affermavo e testimoniavo che il rovesciamento del punto di vista crea le opportunità laddove sembra si sia verificato un fallimento, intendevo compiere azioni del tipo avanzato in questa e-mail. Ognuno di noi (anche a livello aziendale o di brand) potrebbe ragionare e agire in questo modo. Lo speed networking è qualcosa di più di una opportunità: è una molteplicità di opportunità. E gli organismi Impact Hub nel mondo sono un buon punto di partenza e di crescita condivisa. Mica tarallucci e vino. Un aperitivo con tutti i crismi.

Green Tour e Green Road: innovazione e opportunità

Galcollinejoniche

“La crescita è controllata dalla disponibilità della risorsa più scarsa” (Legge del minimo o di Justus Von Liebig)

Cosa nascondono i nomi inglesi e un po’ smart di due iniziative che già così paiono gemelle separate alla nascita e unite dall’amore comune per la propria terra? Il futuro a vocazione ecologica e turistica, auspicato e fortemente desiderato da molti attori contemporanei dei territori di Puglia. E anche da chi la Puglia la ama e la vive quotidianamente come cittadino, lavoratore e magari anche imprenditore, perché no?

Chi: Alessandro Marescotti per Peacelink (Green Tour) e Franco Donatelli per GAL Colline Joniche (Green Road)
Cosa: Green Road e Green Tour: Terre in movimento
Dove: Fiera del Levante di Bari, presso Agorà della Partecipazione- padiglione n°152
Quando: venerdì 18 settembre ore 15.00 – 17.00

Perché: c’erano una volta una manciata di sognatori. Quattro di loro, lo storyteller, il fotografo, l’informatico e lo scrittore percorrevano strade e città dalla Puglia alla Lucania con una macchina iper tech per scoprire i luoghi incontaminati da donare ai propri concittadini, luoghi privi di IPA (idrocarburi policiclici aromatici).  Accade, così, che andando a fare imprese (perché è muovendosi, si sa, che si va incontro alla fortuna e agli eventi grandi e piccoli della vita) che il loro Tour per valli e per monti abbia incrociato la Strada Verde delle genti del GAL.

“Un territorio che punti ad un’aria di qualità è possibile. Nei parchi come nei centri storici si possono raggiungere eccellenti standard di qualità. Questo è lo spirito del Green Tour.”

“Green Road, una grande direttrice turistica su cui si snoda la rete delle masserie pugliesi. Una nuova organizzazione del territorio rurale, attraverso un itinerario innovativo e ricco di suggestioni.”

Anni fa scrissi una poesia, si intitolava “Apirolio”, Alessandro Marescotti la trovò girando per la rete in cerca di informazioni su i policlorobifenili. Credo fosse almeno il 2001. L’altro ieri sono tornata a Taranto per un po’, gli ho scritto e ho avuto l’opportunità di partecipare non solo alla mia prima conferenza stampa come blogger, ma di ascoltare il professore e Franco Donatelli di GAL Colline Joniche parlare di uno dei più bei progetti di valorizzazione delle terre di Puglia. L’opportunità è stata ghiotta per porre tutte le domande che ho potuto. Ho scoperto un mondo, come si suol dire.

ZERO IPA

Certificare la qualità dell’aria può sembrare impresa bizzarra e donchisciottesca, ma il gruppo Zero Ipa può farlo. Questo grazie alle competenze scientifiche accumulate nel corso di anni di ricerche e studi per tutelare Taranto dall’inquinamento ambientale. Grazie, inoltre, a una startup pugliese che si avvale di macchinari e strumenti informatici avanzati (per esempio grazie a Ecochem PAS 2200 CE).
Zero IPA è anche un libro scritto da Daniele Marescotti in cui vengono spiegate ampiamente tutte queste informazioni che ho cercato di darvi in maniera concisa, il libro è acquistabile informato epub al costo di 2,99 euro sul sito bookrepublic.it e da oggi anche in libreria grazie alla casa editrice Narcissus, prezzo al pubblico 10 euro.
Zero IPA vuole anche essere un protocollo di certificazione della qualità dell’aria ovvero un marchio, come quelli alimentari (per esempio AIAB, Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica).
Zero IPA nell’intesa fra Peacelink e GAL Colline Joniche potrebbe essere il marchio che certificherà la salubrità dell’aria dei luoghi della Green Road.

Tutti i link che vi serviranno per il vostro tour virtuale
GAL Colline Joniche dove potrete scoprire tutti i percorsi della Green Road e gli enti e gli imprenditori che partecipano al progetto nonché molte iniziative e progetti anche alimentari e artistici
Peacelink è un portale, vi ho detto tutto 😉
EUThink è il sito della startup e cooperativa etica che offre servizi di monitoraggio dell’aria (c’è anche un’app)
Zero IPA
Green Monitoring

Scrive Daniele Marescotti nella premessa a Zero IPA: ” Stiamo facendo dei passi enormi verso il traguardo di una società in cui i cittadini stessi possono usare tecnologie che un tempo erano accessibili solo agli scienziati. Siamo giunti addirittura alla fase delle tecnologie mobili: netbook, tablet, smartphone. Questa stessa utopia tecnologica potrebbe avverarsi per la diffusione di strumenti finalizzati ai controlli ambientali quotidiani. Forse siamo alle soglie di quello che si potrebbe definire il “sogno tecnologico” di una partecipazione informata e attiva. We have a technodream.”.

Anche noi.


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