Quale potrebbe essere un argomento di massimo interesse collettivo nell’ambito dell’innovazione e delle problematiche legate all’ambiente e al territorio in Italia?
Quando mi sono posta questa domanda, ho deciso di prendere spunto dalle cronache di questi primi giorni d’autunno e ho scoperto l’esistenza di una piattaforma web, “POLARIS, Popolazione a rischio da frana e da inondazione in Italia”, che ha l’obbiettivo di coinvolgere cittadini, imprese, enti governativi e di ricerca scientifica in quelle che vengono chiamate best practice, buone pratiche, per l’ambiente e la qualità della vita.
Un universo di pratiche che coinvolgono concetti come la Circular Economy, la resilienza, gli open data, la partecipazione dal basso, la qualità della vita, l’engagement di utenti e gli obbiettivi dei finanziamenti stanziati dall’Unione Europea.
Posso affermare che la scoperta sia in qualche modo avvenuta grazie alla partecipazione allo speed networking presso Impact Hub a Siracusa (ve ne ho parlato recentemente). Hubber come me, ma soprattuto Manager di Progetti di Ricerca ed Innovazione e Coach, Umberto Pernice, di Palermo, impegnato in progetti collaborativi nell’ambito della resilienza ai disastri naturali, ci racconterà delle iniziative legate ad attività di ricerca e innovazione e del suo ruolo nella consulenza per la realizzazione di questa e di altre iniziative.
Domanda: Cos’è POLARIS? Risponde in qualche modo a necessità espresse dal basso?
POLARIS è un sito web progettato e gestito dall’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e contribuisce a rispondere alle domande e alle richieste di informazioni da parte di media, amministratori nazionali, regionali e locali, e anche singoli cittadini, sui rischi idrogeologici. Il sito fornisce informazioni puntuali sulle caratteristiche, la frequenza e la severità degli eventi relativi a frane ed alluvioni, incluso il numero di morti, dispersi, feriti, sfollati e senzatetto causati da tali eventi. Sono numeri indispensabili per definire i livelli di rischio idrogeologico, identificare le aree dove il rischio è alto e valutare l’impatto sociale ed economico di tali eventi. In aggiunta il sito fornisce informazioni utili per migliorare la resilienza dei cittadini a tali disastri con suggerimenti su cosa fare (e non fare) prima, durante e dopo tali eventi. I post vengono promossi anche sui principali social network (@CNR_IRPI su Twitter) generando una significativa partecipazione e condivisione fra concittadini e istituzioni.
D: Quali sono i tempi di realizzazione di iniziative di questo tipo?
L’iniziativa ha richiesto la pianificazione ed il coordinamento di un lavoro durato oltre un anno tra i ricercatori dell’IRPI-CNR, informatici e web designer, per la realizzazione del sito. E la stessa prosegue con la progettazione di altre sezioni del sito, considerando le statistiche di traffico di utenza. C’è l’interesse a comprendere meglio la percezione che media e cittadini hanno dell’informazione in esso contenuta per capire se e come la stessa possa essere alimentata anche dal basso, come le iniziative aperte ad accogliere dati ed informazione di tipo “crowd”.
D: Esiste qualcosa di simile a POLARIS in ambito prettamente europeo?
Non esistono ancora iniziative di rilevanza europea che informino cittadini europei in maniera così dettagliata sugli eventi legati ai rischi naturali ed al relativo impatto sulla popolazione, sebbene l’attenzione verso queste tematiche da parte dei cittadini si dimostri crescente, anche attraverso l’uso dei social network. La Commissione Europea finanzia progetti di ricerca ed innovazione sulle tematiche della resilienza ai disastri i cui risultati vengono divulgati anche ai cittadini, nell’ambito dei programmi COPERNICUS e del Programma Quadro della Ricerca e Sviluppo Tecnologico Europeo. Uno di questi progetti, LAMPRE (www.lampre-project.eu), tratta di metodi, prodotti e servizi innovativi basati sull’utilizzo di tecnologie satellitari, per migliorare, attraverso mappe, software, linee guida e standard, le capacità degli enti pubblici nelle attività di prevenzione dal rischio da frane.
4) Chi è Umberto Pernice e qual è il tuo ruolo in questo tipo di iniziative?
Sono un consulente indipendente, impegnato a facilitare i processi di generazione collettiva di idee e soluzioni innovative, generate attraverso progetti europei di ricerca ed innovazione. Di tali processi seguo tutti gli aspetti gestionali: dalla pianificazione ed organizzazione delle attività di ricerca ed innovazione alla guida nell’implementazione e controllo del raggiungimento dei risultati, svolgendo un ruolo di catalizzatore e mediatore tra soggetti diversi. Si tratta di facilitare le interazioni tra il mondo della ricerca (mi riferisco a biologi, fisici, geologi, ingegneri, architetti, socio-economisti, ecc.), delle imprese di ogni entità, delle autorità governative e non, anch’esse a tutti i livelli, dei cittadini e della società civile tutta. I progetti di ricerca ed innovazione collaborativa interessano vari ambiti di ricerca, adottano approcci interdisciplinari ed hanno come denominatore comune l’attenzione verso la protezione e valorizzazione dell’ambiente e l’incremento della resilienza dei cittadini ai disastri naturali ed umani. In quest’ampio ambito di azione, il mio ruolo è quello di organizzare incontri per co-creare idee e soluzioni innovative, analizzando le aspettative della Commissione Europea di altre Autorità di Gestione definite nel testo dei bandi di finanziamento dell’Unione Europea, alla luce delle politiche europee e dei risultati dei progetti europei pregressi. Identifico soggetti impegnati in Europa e nel mondo su queste tematiche e ne favorisco l’aggregazione in consorzi per lo sviluppo di proposte. Aiuto nell’interpretazione dei tecnicismi e nell’adempimento delle attività ancora ampiamente burocratiche che caratterizzano i testi dei bandi europei e le attività necessarie al loro adeguato utilizzo.
D: Innovazione, ambiente e qualità della vita: perché?
Perché sono concetti fortemente interdipendenti. Nel 2015 facciamo ancora fatica ad accorgerci del grande divario nella qualità della vita degli abitanti del pianeta e della sperequazione nell’uso delle risorse e dell’impatto disastroso sull’ambiente. Il concetto di innovazione nella società odierna, fortemente interconnessa tramite internet, continua ad evolversi adottando i paradigmi dell’innovazione aperta, collaborativa e sociale: oggi si può investire sul contributo che ognuno di noi cittadini può dare nell’identificazione dei bisogni di innovazione per una società più rispettosa dell’ambiente e della qualità della vita.
D: Salvaguardia dell’ambiente e della qualità della vita quanto incidono a livello economico?
È un argomento ampio e dibattuto. Posso dire che da una parte c’è la Commissione UE che finanzia l’Area Europea della Ricerca affinché l’Europa possa meglio competere con gli Stati Uniti, la Corea, Cina, India ed altri paesi emergenti in logica di crescita sostenibile, mentre dall’altra esistono approcci socio-economici (come quello di Serge Latouche) che propongono concetti di “decrescita felice” in risposta ad uno sviluppo vantato come sostenibile e che tale invece non può essere, vista la limitatezza delle risorse naturali e la sperequazione che i modelli economici attuali generano nelle società.
D: Fra crescita e decrescita, pensare di spalmare il più possibile fra la popolazione mondiale quello che già abbiamo a nostra disposizione avrebbe senso? È previsto?
Credo che in questo caso possiamo introdurre il concetto di economia circolare che può collocarsi fra i due termini, cioè fra crescita sostenibile e decrescita. Con la Circular Economy possiamo riutilizzare intelligentemente tutte le risorse, cioè materie prime, semilavorati, prodotti, scarti, tecnologie e anche conoscenze. Tutto questo integrando il concetto di eco-innovazione, caro ai programmi UE e alla Ricerca, che focalizza l’attenzione sul minimizzare l’impatto che processi, prodotti e servizi arrecano all’ambiente.
D: Facciamo un passo indietro. Hai 15 anni di attività alle spalle, hai iniziato anni prima che si iniziasse a parlare diffusamente di innovazione, come hai costruito queste competenze?
È una sorta di puzzle di competenze fortemente voluto. Mi sono laureato in Economia e Commercio nel 1996 con una tesi che parlava di marketing applicato all’Arte, ai Beni Culturali. Ho proseguito con un Master in Gestione di Impresa per operare come analista all’estero: dal Sudafrica (trattando di statistica multivariata) all’Irlanda e Regno Unito (nell’ambito delle tecnologie informatiche) con imprese multinazionali. Sono quindi rientrato in Italia per tuffarmi nella consulenza sugli aspetti funzionali delle tecnologie all’interno dei laboratori di ricerca e sviluppo di imprese di tutte le dimensioni e di vari dipartimenti di università e di enti di ricerca, sviluppando conoscenze in ambiti multi-disciplinari per sviluppare progetti di ricerca e sviluppo tecnologico e progetti di cooperazione transnazionale.
D: Esistono altre realtà in Italia come la tua?
La mia attività integra vari approcci ed io non mi identifico nell’etichetta del progettista europeo, di colui che studia gli strumenti di finanziamento e coltiva relazioni con i vari enti per ottimizzarne l’uso. Io coltivo la “gestione dell’innovazione collaborativa” (collaborative innovation management). Devo essere attento a comprendere il contributo che la partecipazione di soggetti diversi dà alla creazione e all’implementazione dei progetti e, al contempo, devo far sì che il management non smorzi i contesti creativi.
D: Ti è capitato di incontrare i fruitori finali di questi progetti, noi cittadini europei?
Sì, spesso nei momenti iniziali di divulgazione, durante le conferenze. Come nel caso dei progetti LAMPRE e del progetto CATCH che ha prodotto una piattaforma tecnologica che veicolava le persone verso scelte di mobilità consapevole quali tram, metro e bici e che spingeva verso la consapevolezza dell’impatto delle emissioni di CO2 sull’ambiente e sulla nostra vita e verso i benefici collaterali come la riduzione delle malattie cardio-vascolari e l’incremento del valore delle aree urbane meno congestionate. Negli ultimi anni i progetti di cui mi occupo coinvolgono i cittadini nella fase di concepimento dell’idea attraverso workshop che utilizzano tecniche di lavoro partecipative e il service design per stimolare l’utilizzo di dati aperti.
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