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Starsnap memories

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Se mi chiedessero in questo momento cosa sia per me Snapchat, risponderei che è una forma di narrazione orale frammentaria e ubiqua.

Narrazione orale perché, nonostante sia un social network nato sotto l’impero dell’immagine, gli snap “parlati” sono in gran numero e a qualsiasi ora della giornata: tutti, o quasi, parliamo (a volte anche troppo e poi magari vi dico perché), condividiamo ricordi, impressioni, riflessioni, scherzi, favole, ricette, consigli, sentimenti, dialoghiamo da uno snap all’altro usando i contest oppure semplicemente rispondendo alle domande altrui.

Frammentaria in ragione del meccanismo stesso della creazione degli snap che possono essere scatti visualizzabili fino a un tempo massimo di dieci secondi e video, anch’essi della durata massima di dieci secondi (lo scrivo a beneficio di coloro che ancora non l’hanno provato); ogni snap può essere inviato in chat privata ad un altro snapper che abbiamo aggiunto alla lista di coloro che vogliamo seguire oppure essere inserito in una storia pubblica che si sviluppa in modo fluido nell’arco di 24 ore (ogni singolo snap scompare allo scadere delle 24 ore dalla sua pubblicazione).

E ubiqua, sì: io seguo snappers un po’ da tutto il mondo, perciò mi basta far partire gli aggiornamenti e passare senza colpo ferire da Roma a Sacramento, da Sidney a Miami, da Milano a Zanzibar, da Catania a Parma al Lago Balaton a Londra in un susseguirsi di paesaggi, situazioni, eventi, strade, locali, case private, giardini, sale riunioni.

Snapchat è anche metadiscorso, se mi passate il termine, perché la maggior parte di noi dedica almeno uno snap al giorno agli aggiornamenti, agli usi e costumi che si stanno affermando, al chiedersi se sia o meno opportuno mutuare alcune abitudini da altri social, ai consigli su come usarlo al meglio, ai feedback sulla quantità di snap da fare oppure sulla durata della visualizzazione delle foto, a come cambiare font per scrivere, ai follow alle views agli skip agli swipe ecc ecc 🙂

A me sembra che in qualche modo, questo social tacciato di superficialità, sia in realtà molto più addentro la vita, e fornisca stimoli ad approfondire o a scoprire, perché l’esperienza, trasmessa attraverso lo sguardo diretto di chi si sta guardando, è realmente percepita come più veritiera, ma soprattutto è più sentita.

Ovviamente, la realtà filtrata da un altro sguardo non può essere definita realtà oggettiva; senza finire in un campo filosofico minato, non è detto che si debba avere le stesse opinioni e visioni dello snapper di turno, ma certo la sua finestra sul mondo ha un suo valore, non assoluto, ma importante.

Concludo questo breve pezzo sottolineando che “frammentario e ubiquo” sono aggettivi dalla valenza doppia, possono essere letti sia in negativo che in positivo: sta a voi fare una scelta che non voglio imporvi, ma non sarei sincera se non vi invitassi con entusiasmo a entrare in questo mondo a tratti ancora grezzo e confuso e con qualche difetto (gli snap logorroici, ad esempio, e il fare i conti con il tempo a disposizione per visualizzare tuuuutte le storie).

Il prossimo 29 luglio porterò il mio workshop su Snapchat (perfezionato, arricchito e aggiornato) al Make Hub di Marina di Licata (Agrigento), nel frattempo Snapchat ha assunto Raffael Dickreuter, professionista degli effetti speciali di Hollywood, per lavorare sulla realtà aumentata* che, probabilmente, accrescerà e raffinerà il divertimento e il coinvolgimento già pienamente ottenuto grazie al tool Lenses (i filtri facciali).

Io sono curiosa e voi?

 

*Attenzione, non sto parlando di realtà virtuale perché quest’ultima è un po’ difficile da portarsi in giro con lo smartphone.

 


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